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  • Immagine del redattoreLUDD

DEDICATO

Aggiornamento: 28 lug 2021



Ore 23.30.


Sono appena uscito dalla doccia.


Lavato e profumato come poche volte. Un panino veloce, un paio di fette d'ananas, che di questa stagione è una mano santa, stasera si sta leggerini; ho bevuto quasi tutto il caffè, stasera si sta belli svegli.

E ora sono qui.


Chi mi conosce sa della mia genetica incapacità di essere puntuale. Eppure sono qui.

In attesa. In anticipo. Come un ragazzino al suo primo appuntamento. Forse di più.


E sono teso. Molto.


Come quando sognavo di diventare un grande atleta e il mio allenatore mi spronava a scendere di qualche decimo prima di soffiare in quel maledetto, assordante fischietto con cui mi dava il via.


E io là a portare il mento in avanti, a mulinare le braccia, a battere i piedi più velocemente possibile ma senza perdere coordinazione, a respirare una volta a destra e una a sinistra, cercando di stare più a galla possibile, misurando la distanza prima della virata; quel colpetto a delfino dopo la spinta e prima di riemergere e, di nuovo, a mulinare le braccia che via via si fanno più pesanti e intorpidite dall'acido lattico, a cercare di controllare i polmoni cui l'aria sembra non bastare mai, a battere i piedi pregando iddio che un giorno me li renda palmati, cercando di aumentare la cadenza nonostante la stanchezza e lo sforzo in quell'elemento che, solo in teoria, non mi appartiene.


Poi il tocco. Uno sguardo immediato al cronometro blu sul muro, uno all'allenatore e il suo sguardo mentre nicchia. Solo un decimo e mezzo "sotto".


Cristo, con tutto il culo che mi sono fatto??


E poi via, fuori dalla vasca, a vestirsi di corsa, con in testa lo stramaledetto cappello di lana mortaccina che ti irrita la pelle della fronte; ma fuori fa freddo e non ti devi ammalare, ci sono le gare a Pescara, questa settimana.


E i capelli di vetro. E gli occhi arrossati perché quel giorno ti sei dimenticato gli occhialetti. E la pelle che odora, no, PUZZA di cloro. Con la capoccia che pesa una tonnellata, a scuola o a casa davanti ai maledetti libri. Domani interroga in letteratura latina. E come sempre non so una fava.


E nonostante la paura della stangata scolastica, l'immagine che continua a materializzarsi nel cervello non ha niente a che vedere con Catullo. È quella di un tipo che mi somiglia mentre esce dall'acqua distrutto, con la cuffia nella mano destra e gli occhialetti in quella sinistra, i capelli bagnati e arruffati, il cuore che per poco non sfonda le costole e il sorriso di chi ha fatto il suo personale e, no, non ha vinto ma per poco: sarà per la prossima volta. E comunque metti lì un podio.


Fanculo la scuola. Almeno per questa settimana.


Perché all'improvviso, sei lì.


I tuoi non ci sono, sei andato con la squadra in pullman. Meglio. Hai fatto casino, hai flirtato con la ragazza bionda che è arrivata quest'anno, hai riso, hai sfottuto e sei stato sfottuto dai compagni. Soprattutto da quello che a farfalla va quasi più forte di te a "stile".


Le pause fra gli allenamenti e il giorno di gara sono ricordi opachi. Anche il riscaldamento è una fotografia sbiadita. Quello che hai è il frenetico volteggiare del foglio col programma delle gare: "A che ora sei?" "Fai anche la staffetta?" "Quanto c'è fra la batteria e la gara?".


Di nuovo l'odore del cloro che ti buca le narici, gli schiamazzi della gente che aspetta, i fischi e i richiami degli allenatori nel riscaldamento. C'è sempre quello che ferma un ragazzino e anche a pochi minuti dalla partenza gli deve ricordare come deve portare la bracciata.


E poi il tifo per i tuoi compagni di squadra, l'occhio alla tribuna (magari c'è qualcuno che conosci) e l'ansia che cresce in attesa che lo speaker chiami il tuo nome. Un sorso d'acqua.


Ci siamo. Ti avvii alle seggiole a fondo vasca, davanti ai blocchi di partenza; la cuffia in testa e gli occhi spremuti dagli occhialini strettissimi. Lasci là la tuta e le ciabatte, ti avvicini all'acqua, ti appoggi, ti sporgi, ne prendi una "manciata" e te la passi un po' in faccia e un po' sull'addome.


Poi la chiamata. Un piede sul bordo e poi su, ti issi sul blocco, davanti c'è solo la corsia: l'acqua è di nuovo quasi calma. Ti rannicchi, sei pronto a scattare, lo sparo.


Io ci sono stato, Fede, io c'ero, ci sono stato. E ci sarò anche stanotte. Con la tua emozione, la tua forza e una valanga di ricordi.


E no, non me ne frega un accidente di come andrà. Perché in fin dei conti mi rappresenti.

A prescindere.

Per tutte quelle volte che mi hai portato sul podio con te, per tutte le volte che abbiamo condiviso una lacrima di gioia o l'incazzatura per una gara sbagliata.


Ci sono perché, in definitiva, ti porterai in vasca un pezzo di me e prego iddio che sarà abbastanza forte, veloce, potente, resistente.

Tanto forte, veloce, potente e resistente da permetterti...


LUDD

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